Brigantaggio nel Salento
Se per il Boccaccio, il "brigante" era un uomo gioviale, frequentatore di allegre brigate, proprio come "frate Cipolla...il miglior brigante del mondo" (Decameron VI, 10), ai meridionali questa definizione stava un po' stretta. "Brigante" era colui che viveva di rapine, era un bandito, un masnadiere, un soldato mercenario che imperversava nelle campagne e nelle città in cerca di bottino. Tirate le somme, quindi, non era di certo un buon "elemento", ne tantomeno qualcuno da prendere come esempio.
Con la proclamazione ufficiale del Regno d'Italia nel 1861, e con la conseguente annessione del Mezzogiorno allo Stato unitario, iniziò un periodo di forte squilibrio nei rapporti fra lo Stato e la società italiana, la quale, per gran parte, viveva al di fuori della cerchia dello Stato stesso.
L'unità era stata compiuta solo parzialmente. La nuova Italia aveva preso posto fra le maggiori unità politiche d'Europa, ma essa era ancora oppressa da molti problemi interni che ponevano un limite alla sua potenza di stato tra gli stati.
Precedentemente all'unità, nel primo periodo dell'evoluzione economico - sociale del Mezzogiorno, il "brigantaggio" aveva preso piede in coincidenza di crisi periodiche, come invasioni, carestie, guerre e con esse era destinato a sparire, fatto endemico in una società agraria povera. Nel 1860 fu molto diverso. La crisi dell'unificazione trasformò questo fenomeno in banditismo sociale vero e proprio, conferendogli caratteri peculiari anche sotto il profilo politico. "Nell'Italia meridionale il banditismo sociale si avvicinò a una rivoluzione di massa e a una guerra di liberazione guidata da banditi sociali" (ID.).
Il territorio salentino non ha mai avuto una vera e propria tradizione brigantesca. Tuttavia, in molti, dovettero ricredersi quando il giornale "La tribuna del Salento", nel 1971, cominciò a pubblicare a puntate "Brigantaggio e reazione nel Salento dopo il 1860".
Domenico De Rossi si adoperò molto in questo senso, fornendo, grazie alle sue ricerche, una precisa documentazione sull'argomento e arrivando alla conclusione che "è vero che i briganti non fecero mai epoca, né si imposero con gesta leggendarie, ma arricchirono quel quadro mai abbastanza chiaro dei primi tormentati anni della nostra unificazione". Nel panorama del Mezzogiorno il brigantaggio che si svolse nel Salento, per espansione, densità e durata, occupò un posto secondario. Questo spiega perché la provincia di Lecce non venne compresa fra quelle che furono dichiarate, il 20 maggio del 1863, "invase dal brigantaggio".
Ciononostante, anche in territorio salentino, questo fenomeno, che paralizzò l'ascesa del Mezzogiorno, non mancò di produrre gravi effetti, procurando forti preoccupazioni al nuovo governo. Scoppiato dapprima nella Basilicata, si estese, poi, a quasi tutte le province del Salento.
Numerose furono le bande che operarono in questo territorio, lasciando, chi più e chi meno, tracce indelebili nella storia della nostra terra: quelle di Francesco Ronaldo, detto "il Catalano", di Francesco Paolo Valerio, detto "il Cavalcante", di Antonio Locaso, detto "lu Capraru", e altre ancora.
Ma la figura più caratterizzante fu senza dubbio quella del "brigante letterato", Giuseppe Valente, chiamato così per la sua spiccata capacità dialettica e stilistica; fu, infatti, uno dei pochi briganti a non essere analfabeta. Egli redigeva personalmente le "missive" che, poi, inviava alle famiglie più ricche per estorcere loro denaro. La banda del Valente ebbe un'attività impressionante. Nei soli mesi di settembre - dicembre del 1862, riuscì a perpetrare "83 reati fra omicidi, rapine, estorsioni, sequestri di persona, incendi, furti di bestiame, resistenza e tentati omicidi a componenti della forza pubblica" (D. De Rossi).
Il Valente venne arrestato il 21 dicembre dello stesso anno e consegnato alla Guardia Nazionale. Altri componenti della sua banda vennero catturati e tutti furono condannati all'ergastolo. Le ultime rappresaglie si verificarono nella zona del Capo di Leuca, dove il brigantaggio era ormai ridotto a volgare delinquenza.
La stampa del tempo, dai giornali più importanti ai fogli di provincia, considerando il brigantaggio come un pericoloso ostacolo al consolidamento del nuovo ordine costituito, lo attaccò violentemente, incoraggiando il governo ad adoperare ogni mezzo per combatterlo e debellarlo. Accanto ai provvedimenti legislativi, vennero presi provvedimenti militari, che si articolarono in vere operazioni tattiche contro i malviventi. Queste disposizioni ebbero scrupolosa esecuzione da parte delle autorità della Provincia le quali, allo stesso scopo, presero altre personali iniziative. Reazione e brigantaggio nel Salento, combattuti senza tregua, dopo il 1865, potevano considerarsi solo un triste ricordo.
Il brigantaggio fu soltanto il primo dei grandi problemi che la nuova Italia dovette affrontare nelle province meridionali. Solo il primo di una lunga serie che porterà alla costituzione della complessa "Questione Meridionale". La "questione" non ancora si può dire oggi risolta, mentre pare risorto un più raffinato e potente brigantaggio, che, con fare sottile, avanza derubandoci la dignità.
I briganti di oggi non sono migliori di quelli di ieri. Sono comunque briganti e in ugual modo uomini. Ma oggi, rispetto a ieri, esiste una maggiore disciplina senza la quale quei masnadieri che spadroneggiavano, un tempo, su un territorio in tumulto, ritornerebbero a infestare le nostre città, le nostre campagne e le nostre vite, creando disordine in quell'ordine, seppur precario, che il Sud si è conquistato duramente nel corso dei secoli.
Mi rivolgo a voi, "briganti" del nuovo millennio: non infierite su una terra che merita di essere ricordata per le sue numerose bellezze e per i suoi valori genuini...e non per i suoi lati bui. A voi, "nuovi" Valente, chiedo di mettere da parte l'egoismo per lasciar spazio ad una mentalità nuova, pulita. Amate la vostra terra, non distruggetela, ed essa vi amerà a sua volta, perché è solo questo che vuole. Non chiede altro che un po' di rispetto...