Chissà quante volte, noi donne, abbiamo indossato un grembiule per evitare di sporcarci gli abiti preparando una torta. E chissà quante volte, voi uomini, ci avete viste con indosso tale indumento e avete pensato che sia poco femminile. Nell'antichità le cose stavano diversamente e quello che oggi rappresenta un banale "attrezzo" da cucina, nel passato assumeva un significato simbolico non trascurabile. Le donne se ne servivano, infatti, per manifestare ciò che non potevano dire con le parole. Com'è possibile tutto ciò? Continuate a leggere.
Il camice femminile era anche chiamato, in dialetto salentino, "pegnu t'onestate" (pegno d'onestà) e "nguccia irgògne" (coprivergogne), perché "lo si considerava idealmente uno scudo posto a difesa delle parti intime", scrive la giornalista Giulietta Zain. Ne è riprova il fatto che una contadina leale non si sarebbe mai sognata di uscire da casa senza prima aver indossato il suo grembiule. Se avesse agito contrariamente, sarebbe stato come andare in giro nuda.
Se una ragazza nubile, accortasi che un bel giovanotto la stava guardando insistentemente, intendeva ricambiare tale interesse, nel sistemarsi il grembiule lo spostava verso destra. Accettava, così, la corte del giovane e lo invitava a farsi avanti con i suoi genitori. Il medesimo movimento, fatto però dalla parte opposta, cioè verso sinistra, era invece interpretato dagli antichi come mossa d'adescamento impudica.
La tradizione "grembiulesca" (lasciatemi passare il termine), non perdeva la sua efficacia neanche nel mondo dei morti. Le donne, nei secoli scorsi, venivano seppellite con il grembiule perché ciò significava presentarsi davanti a Dio il più coperte possibile e, quindi, in maniera casta. Siccome "prevenire è meglio che curare", esse, quando avvertivano un possibile pericolo naturale (terremoto, uragano, alluvione), si affrettavano ad indossare i loro "mmùccia irgògne" cosicché, se per incidente fosse deceduta qualcuna di loro, non si sarebbe fatta trovare impreparata.
Nel caso in cui una madre e un figlio morivano insieme prima che il piccolo avesse ricevuto il santo Battesimo, venivano messi in un'unica bara. Il neonato, adagiato sul ventre della donna, veniva coperto col suo grembiule. Le mani della donna, distese lungo i fianchi e non incrociate sul petto, reggevano i due lembi esterni del "pegnu t'onestate". Tale gesto, rappresentava allegoricamente la supplica rivolta dalla madre a Dio, affinché Egli non condannasse l'anima del figlioletto a vagare nel limbo in eterno.
Durante la recita delle litanie in chiesa, all'invocazione "Mater divinae gratiae", tutte le donne presenti rispondevano "Ora pro nobis", sollevando contemporaneamente il grembiule. "Il gesto nasceva dalla volontà di mutare in liturgia il quotidiano affanno, affinché si stabilisse una propiziatoria omologia fra attese contadine e speranze cristiane, fra grano che sbuca e Cristo che risorge, fra madre terrena che suda e Madre celeste che dona" (G.L.V.Z.). Il camice poteva essere espressione di purezza, come sopra accennato, ma anche simbolo di ribellione. Una donna superstiziosa, se convinta di essere oggetto di sguardi ostili, ripiegando le estremità del suo "mmùccia irgògne" formava le corna che, a suo dire, avrebbero allontanato le negatività. Una contadina che avanzava verso il suo datore di lavoro con il grembiule arrotolato sui fianchi, trasmetteva un senso di insubordinazione e di rivolta. Se scoppiava una lite furibonda e la donna gettava la spugna, in segno di resa, nascondeva le mani sotto il grembiule. Ciò palesava uno stato di abnegazione totale e di afflizione.
Ci si serviva di tale indumento anche in occasione dei funerali. Se una donna aveva subito un lutto in famiglia, posava le proprie mani sul grembo esternamente al grembiule. Se, invece, si recava alla veglia di un conoscente o se assisteva al passaggio di un corteo funebre per strada, poneva le mani intrecciate sotto il camice, in posizione di preghiera. "Nel grembiule simbolicamente veniva a raffigurarsi lo spazio agreste, habitat di una classe subalterna abituata fin dalla nascita a mendicare tutto", afferma la Zain.
Le donne salentine, come un po' tutte le donne del sud, tra le pieghe di quel pezzo di cotone bianco, racchiudevano tutta la loro essenza, tutta la loro vita, il loro patire e le loro rinunce. E tenevano la propria femminilità al riparo da sguardi indiscreti perché a loro era concesso solo occuparsi delle faccende domestiche, accudire i figli, lavorare nei campi, obbedire ai mariti e rinunciare quotidianamente al loro sogno di sentirsi "vive".