Le antiche usanze nuziali salentine

Ambarra

Passato il grigiore dell'Inverno, la bella stagione fa capolino, portando con sé la voglia di rivestirsi di cose nuove e il vivo desiderio d'amore. Molte realtà cambiano, ma il bisogno di trovare l'anima gemella e coronare il sogno di una vita, è insito in ogni essere umano. E' sempre lì, in ogni cuore, nell'attesa di venire fuori ed esplodere in un turbinio di emozioni che solo l'innamoramento può dare. L'idillio fra due cuori raggiunge il suo apice nel matrimonio, che costituisce, da sempre, uno dei più importanti riti di passaggio, attraverso i quali, l'uomo e la donna, raggiungono la completa maturità.
Anticamente, l'uomo, doveva compiere una serie di prove per meritare l'amore della ragazza di cui era innamorato e per avere il consenso dei suoi familiari. L'onore, per la donna, rappresentava la sua chiave d'accesso nella vita sociale, e i genitori si affannavano affinché rimanesse intatto. Ogni ragazza si chiede chi realizzerà il suo sogno di essere moglie e madre.
In passato, nel Salento, per appagare questa curiosità, molte fanciulle si rivolgevano agli oracoli, alle megere e a quant'altro potesse dare loro delle risposte, seppure effimere. Nel territorio di Leuca, ad esempio, esse, durante la notte della vigilia di San Giovanni, mettevano l'albume di un uovo in un bicchiere, all'aperto; la mattina seguente, a seconda della forma che esso assumeva, era possibile stabilire il mestiere del loro futuro sposo. Secondo un'usanza, nei paesi della Grecìa Salentina, i due innamorati si strappavano un ciuffo di capelli e lo gettavano al vento. Se uno dei due avesse voluto sciogliersi dalla promessa, avrebbe dovuto ritrovare quelle ciocche, cosa praticamente impossibile.
L'avvicinamento da parte del giovane alla fanciulla prescelta, non era un'impresa facile; le occasioni, infatti, erano minime e il contatto tra uomo e donna in pubblico era vietato. Una delle possibilità di incontro veniva offerta dalla Messa domenicale, dove tutto il popolo si recava puntualmente. Altrimenti, i ragazzi, approfittavano delle feste organizzate dalle famiglie durante il Carnevale, anche se l'occhio vigile delle mamme impediva loro di fare grandi movimenti.
La giovane donna, per difendere la sua moralità, non doveva accettare subito la corte dell'uomo. Proprio per questo comparivano gli intermediari che, in cambio di regali o di beni in natura, offrivano la loro collaborazione, che consisteva nel fare opera di convincimento presso la fanciulla e nel recapitarle bigliettini e messaggi amorosi. Consegnavano, poi, alla ragazza, una fotografia del pretendente; se essa decideva di tenerla, voleva significare che accettava la sua proposta. A questo punto, poteva considerarsi "zita" (fidanzata), e il ragazzo "zitu" (fidanzato). Questa prima fase del fidanzamento avveniva di nascosto.
Successivamente, i mediatori informavano la madre della giovane sull'avvenuta unione, e se essa, dopo essersi accertata che provenisse da una buona famiglia, dava la sua approvazione, il ragazzo, poteva entrare, per la prima volta, nella loro casa. Questo passaggio, definito la "trasatura" (entrata), concludeva la fase clandestina del rapporto tra i due innamorati. I genitori della fanciulla, dopo otto giorni esatti, si recavano presso la dimora del giovanotto, per fare la conoscenza dei futuri compari e per parlare della dote. In questa riunione, definita "parlamentu", si quantificavano i rispettivi possedimenti, che dovevano necessariamente equivalere, perché non erano permesse le unioni fra giovani appartenenti a classi sociali diverse. Tale giorno, si fissava, inoltre, la data della cerimonia del fidanzamento ufficiale, alla cui festa partecipavano i parenti e gli amici, che, dopo un rinfresco, assistevano allo scambio degli anelli. Ufficializzata l'unione, l'uomo poteva vedere la sua amata solo nei giorni e negli orari prefissati dai suoi familiari che, generalmente, erano le serate del giovedì, del sabato e della domenica. Vigeva la proibizione assoluta di incontri fuori casa, anche se, in casi particolari, i due ragazzi uscivano insieme, ma accompagnati sempre da almeno un componente delle loro famiglie.
La fanciulla riservava, nella sua abitazione, una sedia nuova per il fidanzato e, nel caso in cui i giovani si fossero lasciati, la sedia veniva appesa ad un palo, per far vedere a tutti che era "libera".
I due innamorati, durante la visita del ragazzo, sedevano agli estremi opposti del tavolo e conversavano, senza avere alcun contatto, guardati dalla madre seduta al centro. Molto spesso, recitavano il Rosario con tutto il parentado, consuetudine quotidiana delle antiche famiglie. Anche lo scambio vicendevole dei regali era ordinato da regole ben precise, secondo le quali ogni iniziativa era a carico del sesso maschile. Questi doni, dovevano essere custoditi con molta cura, perché la loro restituzione, in caso di rottura, era d'obbligo.
Nel periodo del fidanzamento, si organizzavano i preparativi per il matrimonio. La fanciulla, dopo aver scelto la sua futura dimora, dava gli ultimi ritocchi al corredo. Il giorno in cui uscivano le pubblicazioni, la suocera, regalava alla nuora una collana d'oro, che indicava il legame profondo che univa le loro vite. Questa cerimonia, detta "della catina" (della catena), si concludeva con un banchetto. Da questo momento, e fino al giorno delle nozze, la ragazza rimaneva chiusa in casa, uscendo esclusivamente per recarsi in Chiesa. In tali giorni, essa, trasferiva il corredo nella nuova abitazione.
Il giovedì prima dalla celebrazione del rito matrimoniale, la dote veniva esposta per la "moscia" (mostra), così anche i regali ricevuti, e tutti gli invitati alle nozze erano tenuti a partecipare a questa esibizione. In tale circostanza, la fanciulla donava alla suocera uno scialle o un vestito, e al futuro sposo una camicia con i gemelli, ricevendo in cambio l'abito da sposa.
Molto frequenti, una volta, erano i matrimoni riparatori, celebrati in seguito alle "fuitine". I fidanzati, scappavano di casa per svariati motivi (disapprovazione dei genitori, differenze sociali, ecc.) e tornavano dopo pochi giorni, spinti dalla stanchezza e dalla fame. I rispettivi genitori, dopo i molteplici rimproveri, organizzavano velocemente le nozze, per ridare alla ragazza l'onore perduto.
Molti scrittori salentini hanno dedicato a questo tema diverse opere e varie poesie.
Tra piccoli rituali e grandi preparativi arrivava il giorno tanto atteso, ed era una grande festa per tutti. Dopo la Messa, invitati e sposi, si recavano a casa del marito, dove si teneva il pranzo nuziale. Passati otto giorni, si imbandiva un altro banchetto, questa volta, però, nella casa paterna della sposa. La suocera approfittava dell'occasione per regalare alla nuora un telaio, un fuso, una conocchia e una scopa, per ricordarle che, ora, avrebbe dovuto occuparsi delle faccende domestiche.
La prima notte di nozze, marito e moglie non si coricavano nel letto nuziale, sul quale si deponevano il velo, con la ghirlanda di fiori d'arancio, e l'abito nuziale. Si credeva, infatti, che su di esso dovesse scendere un Angelo benigno per benedirlo.
Nella settimana successiva, la giovane sposa non usciva dalla sua dimora. Nella sua prima uscita in pubblico, dopo il matrimonio, essa si recava col marito in Chiesa per ascoltare la Messa. Dopodiché, la vita degli sposi cominciava il suo corso ordinario. Mentre l'uomo lavorava, la donna si prendeva cura della casa.
Una nuova famiglia nasceva e declinavano le vecchie abitudini. La spensieratezza giovanile era sempre più lontana. Era tempo di crescere, di maturare. Era tempo di convincersi che la vita non è fatta solo di salti, balli, feste, e serate con gli amici. Era, finalmente, tempo di coronare un grande sogno…incredibile, soave, infinito, sogno d'amore...
Ciò che, in passato, sembrava altamente complicato, tanto da non lasciare spazio alla libertà del singolo individuo, nel nuovo millennio viene ricordato come sinonimo di una profonda consapevolezza, che è venuta a mancare con l'avanzare del pensiero moderno. Mi sento parte integrante di questo nuovo orientamento, ma non riesco a condividerlo pienamente perché, forse, in realtà, allora era tutto più semplice, e il mondo appariva più vero.

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