Origine dei campisanti in Terra d'Otranto
Parlare di "cimiteri" non piace a nessuno. Solo pronunciarne la parola fa, in alcuni casi, rabbrividire e, in altri, intristire, ma, a mio avviso, tutte le vicende che si celano dietro a queste misteriose strutture, sono storicamente molto importanti. L'origine di questi impianti non è poi così arcaica come si pensa. Fino all'età di Costantino, i Cristiani seppellivano i loro defunti nelle chiese. Molte di queste erano edificate sopra le sepolture dei martiri e da qui nasceva il desiderio dei fedeli di essere sepolti vicino a quei santi. Per questo, nelle basiliche, si alternavano numerose tombe scavate in terra e sormontate da sontuosi sarcofagi.
Successivamente, questa usanza scomparì per lasciar posto ad un'altra consuetudine che rimase tale fino a circa due secoli fa: tumulare i morti nel sottosuolo delle cappelle. Venivano scavate fosse molto profonde, coperte poi con lastre di pietra e sigillate con calce o gesso, nelle quali si deponevano i cadaveri, uno sopra l'altro, gettati alla rinfusa, privati del nome e della dignità. Questa era la fine che facevano le persone comuni, la povera gente che, in vita, non era riuscita a lasciare traccia di sé e, allo stesso modo, in morte, secondo qualcuno, non meritava di essere ricordata né attraverso una fotografia, né con un nome o un fiore posto sulla sua tomba.
Le famiglie nobili, invece, disponevano di sepolcri che, situati nelle cappelle private delle loro lussuose dimore, traboccavano di ornamenti, statue e piante di ogni genere. Le salme dei clericali, a loro volta, venivano tumulate nelle cappelle delle confraternite. Gli status differenziali di una gerarchia parallela a quella dello spazio dei vivi, rimasero immutati anche in seguito alla legge emanata a Napoli l'11 marzo del 1817, da re Ferdinando I di Borbone, la quale prescriveva "lo stabilimento d'un camposanto in ciascun comune de' dominj di qua del Faro", non potendo più tollerare "il costume di seppellire i cadaveri umani in sepolture dentro o vicino i luoghi abitati". Il decreto ordinava che i siti prescelti per edificare tali strutture, dovevano collocarsi, appunto, lontani dai paesi e che tutti i sepolcri nelle chiese dovevano essere chiusi, il tutto da realizzarsi entro la fine del 1820. Questo andava a modificare le condizioni igieniche, fino ad allora molto precarie. Con tutti i cadaveri che venivano giornalmente calati nelle fosse comuni, il fetore diventava insopportabile in tutti i circondari urbani. Venne effettuata la pulitura delle tombe cittadine secondo precise disposizioni, dopodiché i comuni del regno delle Due Sicilie cercarono un luogo dove seppellire i loro defunti.
Anche il Salento dovette adeguarsi al decreto, in seguito, anche, all'invio di un documento redatto a Lecce dall'Intendente provinciale, nel quale si esortarono i lavori in tutti i paesi. Questa normativa modificò profondamente la situazione preesistente, causando, in un popolo strettamente attanagliato alle sue abitudini, una frattura che difficilmente si sarebbe risanata. Infatti, la gente del sud, più di ogni altra in tutto il Regno, non accettò l'idea di veder tumulare i propri cari in un posto desolato. Le novità agli uomini "antichi" non piacevano affatto, e fu per questo che molti furono i tentativi di boicottare i lavori di costruzione. In più, alcuni comuni, per far fronte alle spese, avevano appesantito la pressione fiscale, scatenando ulteriori dissensi.
In alcuni borghi, i lavori procedevano velocemente, mentre in altri, in seguito ad intoppi che via via si andavano delineando, andavano molto a rilento o, addirittura, non accennavano ad iniziare. Parallelamente a queste vicende, un grave pericolo minacciava l'Europa. Un'epidemia di colera era penetrata nel continente, giungendo nel Regno meridionale intorno al 1836. Fu proprio il pericolo di contagio, a sviluppare una maggiore consapevolezza nella gente che, "quando si rese conto che di colera si moriva, che allontanare le sepolture dall'abitato era anche difesa contro la malattia, allora il più era fatto: si cominciava a pensare in termini di fattibilità nei confronti dei cimiteri", come si desume dalle minuziose ricerche svolte dal geometra Alessandro Calò di Cutrofiano. Inoltre, l'Intendenza Provinciale, nel 1855, ormai stanca dell'atteggiamento che molti paesi del Salento avevano assunto nei confronti di questa nuova realtà, affermò in una lettera: "Bisogna smetterla col contrariare pregiudizialmente la costruzione dei campisanti!".
Il riconoscimento dello spazio cimiteriale come luogo consacrato, opposto a quello non consacrato, da parte del popolo salentino, avvenne grazie alla mediazione della Chiesa cattolica. Le planimetrie comuni a tutti i progetti prevedevano la realizzazione dell'ossario, delle gallerie coperte, della casetta per il custode, della cappella, delle zone adibite a verde e della differenziazione delle sepolture, secondo la quale gli impenitenti e i non battezzati dovevano essere tumulati lontano dagli ecclesiastici, ma vicino ai morti di epidemia. A tale proposito, in non pochi cimiteri di terra d'Otranto, a destra del cancello d'ingresso, in quello che veniva definito "il posto dei disgraziati", vi erano le tombe anonime di coloro che erano morti suicidi. All'interno dei campisanti, inoltre, si trovava il "limbo", area nella quale venivano deposti i bambini morti senza Battesimo. Tutta in salita e ricca di colpi di scena, fu la lunga epopea della creazione dei cimiteri in Terra d'Otranto e, più in generale, in tutta Italia.
Man mano, la gente si è abituata alla presenza di questi centri rituali esistenti, oramai, in ogni paese e città. Oggi, al contrario di due secoli fa, nessuno di noi accetterebbe l'idea che un nostro caro venisse calato in chissà quale tetra catacomba e in chissà quale chiesa. Nell'era moderna, recarsi al camposanto per portare un fiore ai nostri defunti è un gesto normale e naturale, ma, un tempo, non lo era affatto. Molti scrittori, nelle loro opere, hanno parlato degli spazi funebri, rammentando che questi luoghi hanno urlato fortemente, pur chiusi nel loro infinito silenzio, per farsi "sentire". E, anche se, in principio, i pregiudizi hanno ostacolato il loro evolversi, adesso i campisanti sono diventati veri punti di riferimento per ognuno di noi. Ugo Foscolo, nel 1807, si chiedeva se "all'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?". Noi, nel 2006, speriamo profondamente che sia così.