"L'ARALDICA è la scienza che studia gli stemmi e insegna a descriverli in termini appropriati, e anche l'arte che ne disciplina l'uso, la forma, le figure e gli ornamenti". Questa è la definizione che i vocabolari italiani attribuiscono al termine suddetto. In passato, soprattutto nel Medioevo, gli emblemi figurativi costituivano il marchio di famiglie nobili, istituzioni, associazioni e ne palesavano le caratteristiche. L'elmo, la corona, le figure, lo scudo, il manto, il cimiero, erano solo alcune delle peculiarità che si distinguevano negli stemmi. Cosicché, se essi avevano una forma classica, sannitica, rappresentavano un uomo, se, invece, erano ovali o romboidali, indicavano una donna. L'elmo era una prerogativa dei cavalieri. Le famiglie nobili usavano effigiarsi di corone d'oro, le quali esprimevano requisiti diversi secondo il titolo nobiliare e la sua importanza. La corona di principe era sormontata da otto foglie di acanto o fioroni d'oro, sostenuti da punte e alternati da otto perle; quella di duca era cimata da otto fioroni d'oro, sorretti da punte; la corona di marchese era svettata da quattro fioroni d'oro sostenuti da punte, alternate da dodici perle; e così via. Le donne sposate usavano la corona corrispondente al grado del proprio marito; le donne nubili impiegavano la sola corona del titolo personale. I cavalieri di giustizia, i cardinali e gli ecclesiastici, in genere, non si effigiavano della personale corona gentilizia, ma erano rappresentati dalle insegne speciali del loro ordine.
Anche le province, le città e i comuni possedevano i loro stemmi con le loro corone. Le prime erano simboleggiate da una corona formata da un cerchio d'oro, gemmato, con le cordature lisce ai margini, racchiudente due rami, uno di alloro e uno di quercia. Le corone delle città, turrite, erano invece formate da un cerchio d'oro aperto da otto posterle, con due cordonate a muro sulle estremità, sostenente otto torri riunite da cortine di muro. Le corone dei comuni erano costituite, infine, da un cerchio aperto da quattro posterle, con due cordonate a muro sui bordi, sorreggente una cinta aperta da sedici porte, ciascuna sormontata da una merlatura a coda di rondine.
Per tornare ai "nostri" affari, alle cose che ci riguardano più da vicino, la regione Puglia si è insignita di un proprio emblema l'8 settembre del 1988, dopo anni di discussioni tra i politicanti di vari gruppi. Tale araldo, di forma sannitica, è cimato da una corona d'oro rappresentante Federico II e, quindi, uno dei periodi più fiorenti della storia pugliese. Nella parte alta dello scudo, all'interno di una striscia dorata, si collocano cinque sfere verdi che simboleggiano le cinque province pugliesi. Nel corpo centrale, tinto di azzurro, di rosso e d'argento, padroneggia un albero d'ulivo, espressione del lavoro degli abitanti della Puglia, ma anche di pace e di fratellanza.
Ciascuna delle province salentine possiede un emblema che la caratterizza. Lo stemma della provincia di Brindisi, tanto per cominciare, deriva da quello della città stessa: su fondo azzurro, spicca una testa di cervo e, in basso, si nota l'iscrizione "Brun", dal latino "Brundisium". L'araldo della provincia di Taranto, invece, è simboleggiato da uno scorpione posto al centro, tra le cui chele campeggia una corona a cinque punte, immagine del principato ionico. L'emblema della provincia di Lecce presenta un delfino nella cui bocca stringe una mezzaluna. Sullo sfondo primeggiano i colori degli Aragonesi, giallo oro e rosso. Questo stendardo racchiude in sé la storia del suo popolo. Il mammifero morde con rabbia la mezzaluna perché essa rappresenta i Turchi che saccheggiarono Otranto nel 1480, uccidendo gli "Ottocento" innocenti.
Tutti gli stemmi racchiudono una vicenda, ciascuno ha molto da raccontare. Analizzandoli, si imparerà sempre qualcosa di nuovo circa i costumi e i modi di vivere delle genti antiche, di coloro che hanno camminato prima di noi su questa splendida terra, che hanno respirato l'aria pulita e genuina che noi oggi respiriamo, che hanno ammirato il nostro mare, il nostro cielo, i nostri ulivi, le nostre ricchezze naturali. E' sbagliato, però, pensare che chi sfoggiava sul portone un bell'emblema appartenesse ad un mondo fatato, fatto di balli e lussi sfrenati, fatto di pizzi e merletti, di mani morbide e curate. O, almeno, non solo. La nobiltà salentina, infatti, è stata raramente una nobiltà di corte. Il feudatario non si limitava ad impartire ordini, ma condivideva con i suoi sudditi i problemi di ogni giorno. L'aristocrazia del Salento, spesso priva dell'appoggio del regno napoletano da cui dipendeva, dovette lavorare duramente per vivere. Non pochi rappresentanti della nobiltà, difatti, divennero avvocati, notai, medici. In ogni paese di Terra d'Otranto imperava la "lotta per la sopravvivenza", portata avanti non solo dalla gente umile, dai contadini, dagli affamati di giustizia e di un boccone da mettere sotto i denti, ma anche da chi possedeva manieri e gioielli. Molti dei più fortunati, in fondo, non erano altro che naufraghi in mezzo al mare, abbandonati alle correnti e speranzosi di ricevere un aiuto che, spesso, non arrivava mai. Tuttavia, esisteva qualcosa che potesse dimostrare la loro tenacia: un fiero araldo che, tra le sue pieghe, celava la lotta quotidiana per il conseguimento di un equilibrio lontano, le conquiste raggiunte con fatica e sudore e la voglia di riscattarsi.
L'emblema di Andrano, ad esempio, è caratterizzato da un fascio di sette spighe di grano che denota la principale fonte di sostentamento degli abitanti della cittadina, grandi lavoratori dei campi, insuperabili sotto questo aspetto. Il numero delle spighe è tutt'altro che casuale. Infatti, da ciò che è stato tramandato oralmente, si è venuti a conoscenza che gli andranesi lavoravano per tutta la settimana, senza fermarsi mai. Questi "esperti della terra", sotto richiesta, si recavano spesso nelle altre province salentine e in Calabria per offrire i loro servigi, restandovi anche per diversi mesi.
Lo stemma di Collepasso presenta cinque colline che rappresentano la fiorente posizione geografica del borgo, collocato su una lussureggiante altura. Su due di esse si ergono alcune spighe di grano intrecciate a tralci di vite, simboleggianti le coltivazioni prevalenti, e un ulivo sormontato da una stella. L'ulivo raffigura anche la pace e la laboriosità, la vite il carattere giocoso della gente, il grano, la prosperità. La stella lucente ha un duplice significato: uno, bene augurale; l'altro, più antico, indicante che Collepasso era il feudo di un nobile.
L'araldo di Corigliano d'Otranto racchiude in sé un cuore con la scritta latina "In corde vis vitae" (nel cuore risiede la forza della vita). Per interpretare il senso di tale scelta, si deve ricorrere ad un brano di storia romana. Gneo Marcio Coriolano, console romano, per il suo comportamento ingiusto, fu mandato in esilio e chiese ospitalità presso i Volsci, ponendosi alla loro guida contro i romani. Le sue intenzioni furono ostacolate da sua moglie e da sua madre, che lo pregarono di modificare i suoi piani. Per tale motivo fu ucciso dai Volsci. I coriglianesi, però, trasformarono Coriolano in un uomo buono, cambiando il finale della storia: i romani, grati al console per essere stati graziati, gli intitolarono una cittadina, Corigliano appunto. Il cuore raffigurato sullo stemma rappresenta, quindi, il coraggio che ebbe il condottiero di ascoltare il consiglio delle donne amate e di desistere dal suo intento malvagio.
Il simbolo di Poggiardo riproduce un bue al pascolo. Tale preferenza è da collegare alla leggenda sulle origini del centro salentino. Nel V secolo, giunsero in Terra d'Otranto i Goti e distrussero numerosi casali, disperdendo le popolazioni che vi abitavano. Questa gente, scampato il pericolo, decise di fondare un nuovo villaggio in cui vivere insieme. Ma nacquero delle controversie perché, ciascun gruppo, voleva che tale struttura sorgesse sulle rovine dei propri precedenti insediamenti. Non riuscendo a prendere una decisione che accontentasse tutti, si decise di lasciare libero per i campi un bue: lì dove si fosse fermato, si sarebbe costruito il nuovo borgo. E così avvenne.
L'emblema di San Cassiano racchiude una palma ai cui lati si collocano le lettere "S" e "C", iniziali del paese. Il disegno si riferisce ad una comunità di eremiti bizantini, giunti nel villaggio tra il IX e il X secolo. La palma presenta più significati, il primo dei quali l'usanza dei monaci dell'est di segnalare la loro presenza sul territorio servendosi di questo albero. Tale pianta, dalla chioma vigorosa e dal tronco slanciato, indica, per di più, l'ascesa, la rinascita e la vittoria.
In Italia gli stemmi sono una realtà. Sorgono, tuttavia, spontanee due domande: tali emblemi sono tutelati dallo Stato? E se si, quali? Gli araldi gentilizi, di cittadinanza, borghesi ed ecclesiastici non sono salvaguardati dallo Stato; quelli degli enti territoriali, morali e dei corpi militari, si. Ciononostante, agli italiani poco importa, e ne è la prova il fatto che continuino a farne uso. Ogni nazione ha il suo stemma, ogni regione ha il suo stemma, ogni provincia ha il suo stemma, ogni città ha il suo stemma, ogni paese ha il suo stemma...E ogni stemma ha la sua storia...E ogni storia ha i suoi personaggi...E ogni personaggio è protagonista della storia del suo emblema. Tante vite, tanti fatti, tanti destini legati fra loro da simboli immortali: gli STEMMI, per l'appunto.